Il periodo delle sette settimane che vanno da Pesach (Festa
delle Azime, Pasqua, uscita dall’Egitto, 15-21 Nisan in Israele, fino al 22 nella diaspora, quest'anno quindi per noi è stato dal 31 marzo al 7 aprile) a Shavuot (Festa delle Settimane,
Pentecoste, Dono della Torah, 6 e, nella diaspora, anche il 7 Sivan, quest'anno 19 e 20 maggio) è un periodo che, originariamente di gioia, ha
assunto con il tempo dei toni di tristezza.
È caratterizzato dalla cosiddetta Sefirat Omer (Conteggio
dell’Omer), che comincia dalla sera del secondo giorno di Pesach (quest’anno il 1° aprile) e da alcune feste “minori”.
Oltre ad alcune norme generali, questo periodo è
caratterizzato dalla lettura, in particolare nel pomeriggio dello Shabbat, dei Pirké Avot, un trattato del Talmud.
Vi sono anche altre feste e ricorrenze, che tratteremo nella parte dei post del blog:
27 Nisan (giovedì 12 aprile): Yom haShoah vehaGevurah (Giorno della Shoah e dell'Eroismo)
4 Iyar (mercoledì 17 aprile: Yom haZikaron (Giorno del Ricordo, dei caduti per lo Stato d'Israele e delle vittime del terrorismo)
5 Iyar (giovedì 18 aprile): Yom haAtzmaut (Giorno dell'Indipendenza dello Stato di Israele, di cui quest'anno si festeggia il 70° anniversario della nascita)
14 Iyar (Shabbat 29 aprile): Pesach Shenì (Secondo Pesach, per chi non ha potuto celebrare il primo)
18 Iyar (giovedì 3 maggio): Lag baOmer, 33° giorno dell'Omer, di cui si parla in questa pagina
È una ricorrenza festeggiata in Israele con i fuochi d’artificio, perché “Lag ba'Omer ricorda appunto la fine della malattia, ma anche la rivolta di Bar Kokhba che spiega l'origine dei falò, utilizzati come segnali durante le guerre. E' il periodo per eccellenza della celebrazione dei matrimoni nel paese” da Fuori dal ghetto.
28 Iyar (domenica 13 maggio): Yom Yerushalayim (Giorno di Gerusalemme), che ricorda la liberazione e la riunificazione di Gerusalemme, nel corso della Guerra dei sei giorni nel 1967
Vi sono anche altre feste e ricorrenze, che tratteremo nella parte dei post del blog:
27 Nisan (giovedì 12 aprile): Yom haShoah vehaGevurah (Giorno della Shoah e dell'Eroismo)
4 Iyar (mercoledì 17 aprile: Yom haZikaron (Giorno del Ricordo, dei caduti per lo Stato d'Israele e delle vittime del terrorismo)
5 Iyar (giovedì 18 aprile): Yom haAtzmaut (Giorno dell'Indipendenza dello Stato di Israele, di cui quest'anno si festeggia il 70° anniversario della nascita)
14 Iyar (Shabbat 29 aprile): Pesach Shenì (Secondo Pesach, per chi non ha potuto celebrare il primo)
18 Iyar (giovedì 3 maggio): Lag baOmer, 33° giorno dell'Omer, di cui si parla in questa pagina
È una ricorrenza festeggiata in Israele con i fuochi d’artificio, perché “Lag ba'Omer ricorda appunto la fine della malattia, ma anche la rivolta di Bar Kokhba che spiega l'origine dei falò, utilizzati come segnali durante le guerre. E' il periodo per eccellenza della celebrazione dei matrimoni nel paese” da Fuori dal ghetto.
28 Iyar (domenica 13 maggio): Yom Yerushalayim (Giorno di Gerusalemme), che ricorda la liberazione e la riunificazione di Gerusalemme, nel corso della Guerra dei sei giorni nel 1967
Immagine da Etz Hayim
Da L'ebraismo e la vita quotidiana di
Ernest Gugenheim, Giuntina 2007
Il conteggio del 'Omer
E conterete, a cominciare dal giorno successivo a
quello della festa, dal giorno in cui offrirete l'offerta del 'Omer che deve
essere agitato, sette
settimane che siano complete: fino al giorno
successivo alla settima settimana conterete cinquanta giorni e presenterete un'
offerta di farinacei di prodotti nuovi al Signore (Lev. 23, 15-16).
La seconda sera di Pesach inizia il "conteggio
del 'Omer" (Sefirat Ha'omer), effettuato prima giorno per giorno e
poi settimana per settimana. In sinagoga, dopo aver benedetto "Colui che
ci ha ordinato l' Omer", il rabbino, in piedi, proclama: "Oggi è un
giorno del 'Omer" e la comunità ripete le sue parole. Il settimo giorno si
annuncerà: " Oggi sono sette giorni, che sono una settimana nel
'Omer" e così via. Chi non assiste all' officiatura in sinagoga adempie al
precetto in casa propria, preferibilmente all'apparire delle stelle se non
addirittura di notte; a rigore potrebbe essere fatto anche di giorno ma senza
benedizione.
Questo conteggio deve essere interpretato
simbolicamente come una preparazione quotidiana alla festa della Rivelazione,
come periodo di congiunzione tra Pesach e Shavu'oth, la liberazione materiale
dalla schiavitù e la liberazione spirituale ottenuta grazie al dono e all'
accettazione della Torah.
Il
periodo dell'Omer.
Il Talmud (Yevamoth, 62b) narra che migliaia di
discepoli di Rabbì Akivà, uno dei maestri più eminenti del periodo che seguì
alla distruzione del Tempio, morirono nel corso di un' epidemia che durò da
Pesach a Shavuòt.
Viene collegato all'evento il fatto che queste
settimane, senza ragione apparente, hanno carattere di lutto. Questo periodo
dovrebbe essere considerato uno tra i più felici dell'anno in quanto è l'epoca
del raccolto e dell'attesa della Rivelazione sul Sinai.
Probabilmente anche le persecuzioni che seguirono le
crociate, avvenute più o meno in questo periodo dell'anno, contribuirono a
mantenere e accentuare il carattere luttuoso di questo tempo in cui non solo
non possono essere celebrati matrimoni e è prescritta l'astensione dai
divertimenti ma, come per la morte di un parente, gli uomini non dovrebbero
neppure tagliarsi la barba e i capelli.
Per i sefarditi il periodo di lutto va dal
primo al trentatreesimo giorno dell''Omer; gli ashkenaziti invece generalmente
lo osservano dall' indomani della neomenia di Iyar fino a quella del mese
seguente o fino al 3 di Sivan con l'eccezione del trentatreesimo giorno che è
considerato mezza festa.
Immagine da
Fuoridalghetto
Il 18 di Iyar (Lag Ba'omer, trentatreesimo giorno)
secondo la tradizione ebbe fine l'epidemia che decimò gli allievi di Rabbì Akivà.
secondo la tradizione ebbe fine l'epidemia che decimò gli allievi di Rabbì Akivà.
Questo giorno è uno di quelli in cui è soppressa la
supplica giornaliera Tachanun e per alcuni segna il termine del periodo di
lutto, per altri una sospensione temporanea.
Lag Ba'omer coincide con l'anniversario della morte
del grande Rabbì Shimon bar Yochai, venerato maestro di Cabbalà, per cui è
particolarmente celebrato a Meron, vicino a Safed, dove è sepolto.
Migliaia di pellegrini giungono a visitare la tomba
e esprimono la loro devozione con preghiere, canti, danze estatiche, esplosione
di allegria. In un braciere posto alla base del monumento funerario vengono
deposte le stoffe preziose che contengono i capelli tagliati per la prima volta
ai bambini di tre anni e che vengono bruciate tutte insieme.
Anche nell'Africa del Nord è usanza visitare le
tombe dei rabbini particolarmente venerati; nelle altre comunità Lag Ba'omer è
giorno dedicato alle scampagnate, ai falò, ai giochi all'aria aperta per la
gioia dei bambini. In questo giorno è possibile celebrare matrimoni.
Dalla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, il
5 di Iyar, giorno in cui fu firmata la Dichiarazione di Indipendenza, Yom
Ha' atzamauth, è giorno di festa.
Durante le sette settimane del 'Omer è raccomandato
di partecipare il più sovente possibile all' officiatura quotidiana in sinagoga
per dare più solennità all'adempimento della mitzvà della Sefirà (computo dell’'Omer).
I tre giorni che precedono la festa di Shavu'ot
prendono il nome di Shelosheth Yemè Hagbalà, "I tre giorni della
limitazione", poiché Mosè, su ordine divino, stabilì dei Limiti per il
popolo al fine di impedire loro la salita sul monte Sinai (Es. 19, 12) e ordinò
di prepararsi fisicamente e spiritualmente alla promulgazione della Legge.
Questa raccomandazione ha mantenuto il suo valore e è dovere di ognuno cercare
di elevarsi alla Madregà, cioè verso quella spiritualità necessaria per
rivivere nell'anima l'evento della Rivelazione".
La
morte degli allievi di Rabbì ‘Aqiva. In Massekhet Yevamot (62 ‘amud bet, vedi
ivi) viene raccontato che durante il periodo della Sefirat Ha’Omer (conteggio
dell’ ‘Omer) 12.000 coppie di allievi (ossia 24.000) di Rabbì ‘Aqiva sono morti
di morte tragica e non naturale in un brevissimo tempo. La causa della loro
morte è che non si sono comportati con sufficiente כבוד Kavod* ~ onore l’uno
con l’altro. Per questo motivo, per circa 33 giorni durante il periodo della
Sefirat Ha’Omer ci sono alcuni usi simili a quelli che si usano durante il
lutto ל"ע. Come sarà
spiegato Be”H nei prossimi giorni. (cfr. Shulchan ‘arukh Orach Chajim 493:1,
cfr. Torat HaMo’adim ‘Omer 7:1, cfr. Beur Halakhàh 493 D”H Yesh Nohaghin)
Kavod* bisogna
sottolineare, non si tratta di offendere chas veshalom oppure di trattare male,
ma di non essersi comportati con sufficiente Kavod ~ onore l’uno con l’altro. Per questo in
queste settimane è necessario stare particolarmente attenti a queste cose.
Inoltre in queste settimane bisogna essere consci che lo Yetzer HaR'a tenta di
creare maggiori problemi su queste cose, proprio per questo motivo.
Altri
motivi. C’è chi dà ulteriori
motivi per questi usi, ad esempio dice che i giorni della Sefirat Ha’Omer sono
giorni di “Din” ~ “Giudizio” per cui è
necessario stare attenti. Inoltre c’è chi sostiene che si sta attenti per varie
vicissitudini poco piacevoli che sono avvenute in questo periodo si sta attenti
alla cosa. In ogni caso il motivo principale in base ai Rishonim (Maestri
dell’epoca che va da circa 1000 anni fa al periodo dello Shulchan ‘arukh, circa
500 anni fa) sembra essere quello della morte degli allievi di Rabbì ‘Aqiva
(visto nel punto precedente) (cfr. Torat HaMo’adim ‘Omer 7:1)
Omer di David
Sciunnach
In base a quanto prescritto
dalla Torah (Levitico 23 ,15-16) si contano per sette settimane, tutte le sere,
i giorni che vanno dal secondo giorno di Pesach (16 Nissan) fino alla vigilia
di Shavu’oth (5 Si...van). Questo periodo è detto dell’ Òmer, perché nel primo
giorno di esso si incominciava ad offrire, nel Santuario di Gerusalemme, una
misura del nuovo orzo, detta appunto Òmer. In ricordo di ciò i nostri Maestri
hanno stabilito che tali giorni vengano ricordati con un computo progressivo
fino alla festa di Shavu’oth. Questo periodo ricorda anche le sette settimane
di preparazione dei figli d’Israele tra la Yetziat-Mitzraim – l’uscita
dall’Egitto ed il Mattan Torah – il dono della Torah.
L’obbligo di contare l’Òmer è
sancito nel Trattato Talmudico di Menachoth 65b, ma la benedizione compare
solamente nei formulari del tardo Medioevo. Questo periodo, originariamente,
era caratterizzato da eventi lieti, ma dopo la morte, nel periodo romano, dei
24mila studenti di Rabbì Akivà, esso è accompagnato da un’atmosfera di
tristezza e lutto. Conformemente al pensiero kabalistico ogni giorno, di queste
sette settimane, viene messo in relazione con una delle sette Sephirot
(Ipostasi o Attributi Divini) e a riflessioni mistiche sui nomi divini, i
quali, combinati fra loro, costituiscono 49 connotazioni spirituali che in questo
periodo debbono essere risvegliate.
Così come, secondo la
tradizione, i figli d’Israele risalirono i 49 livelli d’impurità nei quali
erano precipitati durante la loro permanenza in terra d’Egitto, noi compiendo
questo computo risaliamo nei 49 livelli.
Da Morasha
Pirké Avòt
(in
grassetto il testo dove si dice perché si leggono proprio in questo periodo)
Pirké Avòt, Massékhet Avòt, o più semplicemente Avòt
è denominato un trattato della Mishnà, inserito nel quarto ordine Nezikìn (danni)
relativo al diritto civile e penale rabbinico. Esso tuttavia si distingue fra i
63 trattati della Mishnà in quanto, mentre quest’opera si presenta di fatto
come un corpus giuridico contenente una normativa da codificare e da seguire (halakhà), il trattato Avòt ha un
carattere quasi esclusivamente etico filosofico (aggadà). Redatto, al pari del resto dell’opera, da R. Yehudà
Hanassì (il Principe, capo del Sinedrio a Tzipporì in Éretz Israel)
a cavallo fra il II e il III secolo E. V. al culmine di una fase di
trasmissione orale difficilmente misurabile. Il trattato consta di una serie di
massime morali, alcune delle quali sembrano rivolte in particolar modo ai
giudici nella conduzione dei processi e ciò spiegherebbe la sua collocazione
nell’ordine Nezikìn.
In ogni caso le massime, veri e propri epigrammi
che si imprimono nella mente per la loro sinteticità, si ispirano a motivi di
etica pratica, che inseriscono il trattato a pieno titolo nell’antica
letteratura sapienziale ebraica, che ha i suoi capisaldi nei libri biblici dei
Proverbi (Mishlè), di Giobbe (Iyòv), del Kohèlet e in alcuni Salmi (Tehillìm),
di cui di fatto Avòt si presenta come una continuazione, ispirandosi ad
essi. Contrariamente allo stile della Mishnà, che per lo più evita il ricorso a
citazioni, il trattato Avòt fa frequenti rimandi ai testi biblici, e
anche in questo senso è più prossimo allo schema del Midràsh.
I temi trattati toccano gli aspetti fondamentali
del pensiero rabbinico classico: il compito principale del Maestro è procurarsi
molti discepoli, i pilastri della società sono il servizio di Dio e lo studio
della Torà. Si sottolinea l’importanza della giustizia, che va amministrata
secondo criteri etici da parte dei preposti, e delle doti morali in genere. Il
duro lavoro deve essere preferito alla ricerca degli onori e alla consuetudine
con le cariche pubbliche. I Pirké Avòt costituiscono di fatto un vero e
proprio compendio di disciplina etico-religiosa, tanto che nel Talmùd si
afferma, a nome di Ravà, "chi vuol essere pio metta in pratica
gli insegnamenti di Avòt" (BK 30a).
Almeno nei primi quattro capitoli dei sei che
formano l’attuale raccolta, le massime sono per lo più attribuite a Maestri il
cui nome viene riportato in capo a ciascuna.
Nei primi due capitoli le massime sono addirittura
ordinate cronologicamente nel rispetto di una catena della tradizione
orale che, dopo aver affermato la derivazione di quest’ultima dalla Rivelazione
sul Monte Sinai al pari della Torà scritta, elenca le varie generazioni di
Maestri a partire dagli Uomini della Grande Assemblea (V sec. a. E. V; il primo
nome menzionato è quello di R. Shim’òn il Giusto, III sec. a. E. V.)
fino allo stesso R. Yehudà Hanassì. Nel terzo capitolo si riportano
invece massime attribuite alla scuola di Rabbàn Yochanàn ben Zakkày
(fine I sec. E. V.).
Se R. Yehudà Hanassì - è stato acutamente
osservato - simboleggia in un certo modo l’autorità costituita, R. Yochanàn
sembra rappresentare invece la Scuola, che avrebbe garantito la continuità
dell’Ebraismo nella seconda Diaspora: si pensi alla sua rocambolesca fuga da
Yerushalàim assediata dai Romani, dentro una cassa da morto, che lo portò ad
ottenere da Vespasiano in persona il permesso di aprire una yeshivà a Yavne.
Abbiamo in tutto una sessantina di nomi, introdotti
per lo più a coppie (il Presidente, Nassì
e il Vicepresidente, Av Bet Din
del Sinedrio; Chag. 15b), a ciascuno dei quali viene attribuita
un’affermazione, o una serie di affermazioni, in genere tripartite: si tende a
vedere in questi insegnamenti una sorta di epitome del pensiero di ogni
Maestro. In taluni casi è da sottolineare, data la posizione di chi li ha
pronunciati, l’importanza che i detti dovevano rivestire originariamente sul
piano politico. È all’interno degli stessi Pirké Avòt che troviamo enunciato,
con tanto di base biblica, il principio della fedele denominazione ("Donde
s’impara che chi riferisce un insegnamento con il nome di chi per primo l’ha
detto, porta la redenzione nel mondo? Dal verso che dice: "E disse Estèr
al re a nome di Mordekhày"" (6, 6; cfr. Est. 2). Non c’è dubbio
che esso vuol sottolineare come nell’Ebraismo Rabbinico il concetto di
aristocrazia basato sull’eredità del sangue abbia lasciato il posto ad un
altro, ben più elevato concetto di famiglia spirituale, impostata sul
rapporto maestro-discepolo.
Al puntiglio nel riportare i nomi, fa infatti
riscontro la completa assenza di riferimenti biografici: le personalità
indicate non assumono importanza di per sé in quanto singoli, ma in quanto
condividono lo sforzo comune di farsi interpreti della Tradizione, sia pur
esprimendo talvolta punti di vista differenti.
Se il sistema dell’attribuzione prosegue nel quarto
capitolo, nel quinto si manifesta un genere diverso di ordine: le massime sono
per lo più anonime, ma accomunate da un riferimento numerico (10, 7, 4) che non
fa che ampliare la tripartizione già notata nei capitoli precedenti. È
difficile dire che cosa abbia spinto il redattore ad inserire tali massime.
Aldilà del loro carattere mnemonico, non è escluso che in esse si voglia
affermare il concetto generale della presenza di un preciso ordine cosmico
nelle cose, a riprova dell’esistenza di un Creatore Divino e di una Provvidenza
nel mondo.
Il sesto capitolo, detto anche Mishnàt R. Meìr
o Pérek Kinyàn Torà, (capitolo sull’acquisizione della Torà), contenente
affermazioni di lode allo studio della Torà, si trova anche nel trattato
post-talmudico Kallà Rabbatì (8) e nel Séder Eliàhu Zuta ed è una
baraytà (insegnamento rabbinico
originariamente non accolto nella Mishnà) entrata nella raccolta
posteriormente, per completare le sei porzioni da leggersi nei sei Sabati fra Pésach e Shavu’òt, allorché si affermò
tale uso, pare già intorno all’VIII sec. d.E.V. in Babilonia. Diverse sono le
giustificazioni date per tale usanza tuttora largamente seguita (alcuni usano
estendere la lettura fino a Rosh Hashanà): è stato osservato che "nessuna
altra opera completa di alcun genere, neppure il libro dei Tehillim, ha avuto il merito di
entrare nel Siddùr Tefillà".
La più
comune spiegazione è che i Pirké Avòt offrono un efficace strumento di
preparazione etico-spirituale nel periodo dell’’òmer in vista di Shavu’òt, la festa della promulgazione della
Torà. Se la Torà è tutta chésed,
misericordia (Prov. 31, 26), quale migliore guida al chésed del trattato Avòt? Ma si danno anche altre
interpretazioni. Il Talmùd racconta che nel periodo dell’’Òmer una pestilenza colpì a morte
24.000 discepoli di R. ’Akivà per non essersi comportati correttamente gli uni
con gli altri (Yev. 62a): ed è appunto ciò che i Pirké Avòt si
propongono di insegnare.
Infine,
già il commento Me’àm Lò’ez affermava che la lettura dei Pirké Avòt
durante i lunghi shabbatòt estivi
ha la forza di contrastare la tendenza alla pigrizia e al divertimento frivolo
che caratterizza particolarmente la stagione calda. L’uso è di far precedere la
lettura di ogni capitolo da Sanh. 1,10 e seguire dall’ultimo paragrafo
del trattato Makkòt. Tali appendici sono state spiegate in vari modi.
Non è escluso che si sia voluto ribadire in sede di studio dei Pirké Avòt
i principi fondamentali dell’elezione di Israele e del dono della Torà come
fonte di meriti in opposizione alla dottrina cristiana del verus Israel
e dell’abolizione della Legge in quanto presunta causa di peccati.
Perché si chiamano Pirké Avòt? Se la parola massékhet, comune a tutti i trattati
della Mishnà (lett. "telaio per tessuti"; cfr. Giud. 16. 13-14)
allude all’ordito di tradizioni orali che sottendono la versione posta per
iscritto e se il termine pérek
sembra riferirsi piuttosto alla seduta accademica e quindi alla lezione
che non al capitolo come comunemente lo si traduce, sul termine avòt (lett. padri) vi sono due
gruppi di interpretazioni differenti.
Il primo gruppo lo considera epiteto di persona,
nella fattispecie i Maestri, chiamati padri (spirituali), in quanto con
i loro insegnamenti fanno acquistare ai propri figli (spirituali, cioè i
discepoli) la vita del mondo futuro, così come il padre carnale dà alla sua
prole la vita di questo mondo; ovvero nel senso di padri fondatori, che
hanno stabilito per le generazioni successive i principi dell’Ebraismo (è
quanto afferma Rashì al termine del suo commento ad Avòt "…per
insegnarci come le loro azioni erano giuste e trattenevano dal male i loro
contemporanei e li indirizzavano sulla retta via. Altrettanto è opportuno che
si comporti ogni sapiente (chakhàm)
nei confronti della propria generazione"). Sulla stessa linea, nel
secolo scorso era S.R. Hirsch che così commentava il primo paragrafo: "Molto
propriamente in questi passi si allude ai Saggi della nostra Legge come padri
perché con questi detti essi davvero agiscono nei nostri confronti in qualità
di padri fornendoci con la loro sapienza la guida etica di cui abbiamo bisogno
per raggiungere lo stato di perfezione che D. ci comanda". Nella
Mishnà ’Eduyòt 1, 4 i Maestri stessi sono chiamati Avòt ha’olàm, padri del mondo, o forse piuttosto padri
eterni. Ma è anche possibile che il termine alluda ai "giudici"
destinatari primi del messaggio del trattato: si veda Gen. 45, 8. Il secondo
gruppo lo considera alla stessa stregua di espressioni come avòt melakhòt (azioni capitali,
proibite di Shabbàt, Shab. 7,
2), avòt nezikìn (danni
capitali; BK 1, 1) o avòt hatum’òt
(impurità capitali, Toh. 1, 5 Kel. 1, 1) e avrebbe il significato
astratto di principi fondamentali. […]
Ci sono molti altri siti che potete
consultare per maggiori informazioni, di seguito ne indico alcuni:
http://ravblog.wordpress.com/tag/omer/