Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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mercoledì 19 ottobre 2016

Ancora sul cedro di Calabria

Sukkot, dal 16 al 23 ottobre
Da Israele in Calabria a caccia del cedro sacro
Parliamo di Santa Maria del Cedro, sulla riviera cosentina, meta di un vero pellegrinaggio ogni anno
Eloisa Gilardoni da L’indro
Il cedro è l’agrume citato nell’Antico Testamento come il frutto (‘etrog’) dell’albero più bello (‘adar’), da cogliere per il ‘sukkot’, la festa delle capanne o festa dei tabernacoli, che quest’anno è iniziata ieri - cade, infatti, dal 16 al 23 ottobre - , secondo il calendario lunare ebraico. Festa anche di fine raccolto e inizio semina - legata, quindi, ai cicli della natura, come avviene per la maggior parte delle feste religiose del mondo - è la celebrazione che ricorda i quarant’anni passati dagli ebrei nel deserto, in capanne di rami, dopo la fuga dall’Egitto, prima di giungere nella Terra Promessa.
“La tradizione degli ebrei in Calabria è una tradizione molto antica, di 2000 anni fa”, ci spiega Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano, “pochi sanno che la Calabria, come il resto d’Italia, era molto popolata da ebrei nel XV secolo; poi Isabella di Castiglia, regina di Spagna, cacciò gli ebrei dai suo i possedimenti, quindi anche dal sud Italia”.
Il cedro in Calabria sarebbe giunto intorno al III secolo a.C., per merito delle popolazioni ebraiche fondatrici di numerose colonie della Magna Grecia. La tradizione della scelta dei cedri calabresi da parte dei ‘rav’, rabbini, invece, risale a circa 300 anni fa. “Durante la Festa delle Capanne, gli ebrei devono sventolare un mazzetto di ramoscelli nelle quattro direzioni per sette giorni”, nella mano destra recano un ramo di palma (‘lulàv’), simbolo dell’orgoglio; due rami di salice di fiume (‘aravà’), simbolo della maldicenza, e tre rami di mirto (‘hadas’), simbolo dell’invidia. Nella mano sinistra recano, invece, un frutto di cedro, simbolo dell’espiazione delle colpe e della purificazione dai peccati. Non tutti i cedri, però, sono perfetti: il cedro ‘kasher’ (quello lecito per la festività) non deve avere rugosità o macchie sulla buccia, deve provenire da un albero di almeno quattro anni d’età, piantato per talea (non innestato), deve avere una forma conica e perfetta e un peduncolo accentuato.
Davide Romano ci spiega la simbologia nascosta dietro a questa tradizione: “i frutti sono una metafora per descrivere le tipologie dell’essere umano: la sostanza, l’apparenza e le vie di mezzo”. Ogni vegetale stimola, a suo modo, i nostri sensi: la palma non profuma, ma ci regala dei frutti saporiti, il salice non ha sapore né profumo particolare, il mirto profuma, ma non ha sapore, infine “il cedro è ricco di sapore e odore, rappresenta il massimo, simboleggia l’uomo giusto che opera per il bene”.
Ogni anno, in estate, i rabbini arrivano a Santa Maria del Cedro -un paese di meno di 5000 abitanti, in provincia di Cosenza, sul Tirreno- per selezionare i frutti migliori da spedire alle comunità ebraiche di molte parti del mondo, in primis Israele. Il rabbino, accompagnato dal contadino tagliatore, cammina per la cedriera, molto lentamente, esaminando a fondo ogni albero. Il rabbino si sdraia sulla terra, esamina i cedri uno ad uno, indica al contadino tagliatore i frutti prescelti che essi tagliano alla base del ramo, lasciando il peduncolo. I cedri vengono esaminati ancora più attentamente dal rabbino; vengono poi posti all’interno di una cassa, protetti da stoppa o carta da imballaggio. È essenziale che i cedri non si tocchino l’un con l’altro ed è essenziale che la buccia sia perfettamente liscia: per questo il cedricoltore rimuove, accuratamente, ogni spina dalla pianta e separa i cedri l’uno dall’altro con pezzetti di canna o con le stesse foglie. Se il lavoro della cedricoltura non fosse già abbastanza faticoso, il lavoro per la coltura del cedro sacro è ancora più faticoso e dispendioso: bisogna proteggere ogni pianta dall’attacco degli insetti, dal clima e perfino da se stessa, affinché dia vita a cedri ‘semplicemente perfetti’.
L’economia della ‘Riviera dei Cedri’ affonda le radici sulla cedricoltura, che è stata, per decenni, l’unica grande fonte di introiti, provenienti per la gran parte dall’esportazione del frutto. Negli anni trenta ha raggiunto la massima espansione, con una superficie coltivata di 400 ettari ed una produzione di 85.000 quintali. Da allora, fino all’inizio degli anni novanta, si è registrato un calo progressivo, causa la cementificazione e politiche di gestione del territorio che hanno penalizzato l’agricoltura. Successivamente è iniziata una risalita che ha permesso alle aree interessate di non dipendere più solo ed esclusivamente dalla esportazione dei cedri, permettendo nel contempo di riscoprire sia le antiche tradizioni della coltura del cedro, sia il suo ruolo nell’economia del territorio. Oggi dalla sua lavorazione si ricavano liquori dolci e sciroppi, marmellate. Il frutto viene impiegato nell’industria dolciaria come candito, ma può trovare utilizzo anche nell’ambito medico, fito-farmaceutico e fito-cosmetico.
Grazie agli sforzi del Consorzio del Cedro di Calabria e dell’Accademia del Cedro, negli ultimi anni si è avviato un processo di comunicazione internazionale dei valori delle aree di produzione dei cedri, il cuipunto di forza è la fascia costiera da Tortona a Sangineto, sulla costa tirrenica cosentina, area che costituisce la Riviera dei Cedri. In questa striscia di territorio, lungo la quale oggi operano circa 300 produttori con oltre 90 ettari coltivati, si coltiva una qualità di cedro unica al mondo, grazie ad un perfetto mix tra clima, altitudine eterra e la dedizione dei coltivatori.
Michele Adduci, Presidente del Consorzio del Cedro di Calabria, ci spiega che: “il cedro di cui parliamo è una specie che appartiene al gruppo organolettico naturale detto Cedro Acido, ed in particolare, il cedro che si produce nel territorio della Riviera dei Cedri è la cosiddetta Liscia Diamante di Santa Maria del Cedro, anche conosciuta come ‘Italiana’ o ‘Calabrese’, è la più diffusa e più ricercata, sia in Italia che all’estero, dall’industria agroalimentare. In particolare, proprio l’area della Riviera risulta essere, in assoluto, il primo se non, addirittura,l’unico sito che produce questa varietà così preziosa”.
L’obiettivo oggi è quello di promuovere in maniera integrata tutte le risorse dell’area, e, nello stesso tempo sostenere lo sviluppo commerciale della filiera produttiva. La partecipazione degli operatori locali nasce dalla consapevolezza di avere in questo territorio come bene e ricchezza, un prodotto unico, e il solo modo per valorizzare il territorio e svilupparne la sua economia è imporre che l’intero processo di filiera avvenga in loco. La raccolta e la trasformazione del cedro impegna oggi migliaia di persone, dai produttori agli addetti alla trasformazione, fino alla ristorazione, all’industria cosmetica e a quella farmaceutica. Durante il mese di agosto, centinaia di rabbini raggiungono queste zone per acquistare il frutto, dopo averlo meticolosamente esaminato al fine di accertarne la purezza.
Quindi questo frutto inimitabile, “oltre ad essere il padre degli agrumi, unico per le sue caratteristiche religiose e per le sue qualità organolettiche, ha diversi utilizzi in campo farmaceutico, medico, alimentare ed estetico ed è materia di studi nelle università tra le quali quella di Cosenza” ci spiega il professor Franco Giuliano, Presidente dell’Accademia Internazionale del Cedro “il cedro profano artigianale sta conquistando sempre di più una vasta fetta di mercato, anche fuori stagione; un esempio dello sviluppo della linea produttiva del cedro è il suo utilizzo come ingrediente in Cina”.

Coniugando la tradizione con l’innovazione è possibile permettere a queste aree della provincia calabrese di prosperare unendo settori come: cultura, artigianato, agricoltura e turismo. Recente è la proposta di rilanciare il cedro come pianta ornamentale, già utilizzata nella Toscana rinascimentale nei giardini. Questa è la direzione che si sta percorrendo per ampliare sempre di più l’esportazione internazionale del cedro calabrese. “Il cedro viene da lontano e ha un lungo futuro davanti, e forse proprio per la ‘carica’ religiosa che ha in se”, conclude il Presidente dell’Accademia.

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