Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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venerdì 12 febbraio 2016

Presenze documentate nello Jonio catanzarese




Gli ebrei, presenti da lungo tempo a Catanzaro, città che contribuirono per lungo tempo ad arricchire con la lavorazione (in particolare la tintura) e il commercio della seta, non mancavano comunque nel circondario.
In questo post comincerò ad occuparmi dell’area gravitante sullo Jonio, che comprende sia località in cui la presenza ebraica è documentata e fuori da ogni dubbio, sia altre località in cui invece le attestazioni sono incerte, per lo più toponomastiche ed onomastiche, con tutte le limitazioni che hanno questo tipo di fonti.
Dedicherò questa prima parte alle cinque località in cui la presenza è certa e documentata.



LOCALITÀ CON PRESENZA EBRAICA CERTA E DOCUMENTATA
(indicate nella cartina con i numeri da 1 a 5)

Per queste località mi limito per il momento a riportare quanto è detto nell’ottimo sito Italia Judaica; in seguito cercherò di fare un approfondimento attingendo ad altre fonti (in particolare, ovviamente, ai lavori del professore Cesare Colafemmina z.l.).

1. BELCASTRO
Sebbene storicamente gravitante sul Crotonese, oggi, dopo la creazione della provincia di Crotone per distacco da quella di Catanzaro, è rimasta in quest’ultima provincia
Belcastro è citata da Padre Giovanni Fiore da Cropani nel suo “La Calabria illustrata, tra le località in cui, dopo il 1200, giunsero gli ebrei provenienti da Corigliano

Sebbene, come si è detto, pure con tutti i limiti di credibilità dei padre Fiore, si possa supporre che la loro permanenza sia stata più lunga, Italia Judaica riferisce notizie solo per gli anni dal 1494 al 1502-3:
"Nel 1494 il conte di Belcastro, il milanese Giangiacomo Trivulzio, rivendicò la facoltà di dirimere le cause dei giudei, mentre questi volevano servirsi di un proprio commissario: la Camera della Sommaria accontentò il feudatario, ammonendolo però di non cercare profitti indebiti (mangiarìe) e di non compiere espropriazioni illecite.
Nel 1498 la Sommaria ordinò al tesoriere di Calabria di esigere in Belcastro, dove si era trasferito da Nicastro, i contributi fiscali di Muscia de Midichi.
Come altre comunità della Calabria meridionale, anche quella di Belcastro patì danni per le guerre che sconvolsero l’area a cavallo dei secoli XV-XVI, al punto che il percettore delle imposte non riuscì a recuperare i residui fiscali della III indizione (1499-1500) e fu impedito con la forza ad esigere quelli della VI indizione (1502-1503). A questa data i fuochi ebrei di Belcastro erano quattro.
Nel corso del XV secolo fu copiato qui il Commento di Levi b. Gershom (maestro Leone de Bagnols, 1288-1344) al Commento medio di Averroè alla Logica di Aristotele".

Nel cerchio rosso la possibile collocazione della Judeca di Belcastro.
Come a Santa Severina e, di seguito in questo post, a Simeri,
il quartiere ebraico è adiacente a quello greco, abitato da quella che ormai,
 da maggioranza che era, è diventata una minoranza etnico-religiosa 

Di Belcastro ho parlato anche in un precedente post, al quale rinvio, riportando alcune notizie circa la presenza di una sinagoga, la collocazione della Judeca e una notizia circa la presenza di ebrei già nel XIII secolo.

2. SIMERI
Attualmente si trova diviso nei due comuni di Simeri Crichi (costituito da Simeri, il centro storico, e da Crichi, attuale sede del Comune) e Soveria Simeri, e in più una sua parte, insieme a territori già di Sellia, costituisce il comune di Sellia Marina
L’unica documentazione che abbiamo di ebrei a Simeri è quella di una ketubbah, un contratto matrimoniale, che però fa supporre un’ampia presenza ebraica
Anche Simeri è citata da Padre Giovanni Fiore da Cropani come località in cui, dopo il 1200, giunsero gli ebrei provenienti da Corigliano

[Vi sono] i quartieri della Grecìa e della Judeca.
[…]
Una testimonianza notevole della presenza ebraica a S. è costituita dal contratto (ketubbah) stipulato nel 1439 in occasione del matrimonio di Salomone di Davide con Iaele di Salomone. Insieme al consueto elenco del corredo, esso riportava l’impegno del padre dello sposo a concedere alla nuora, nel caso restasse vedova, il libello del ripudio (chalizah) senza richiesta di denaro, mentre lo sposo si impegnava ad abitare per cinque anni a S. A garanzia dei patti, fu comminata una multa di 12 once, da assegnare metà alla comunità e metà alla parte lesa. Furono testimoni Iacob di Ioseph, Ezechiel di Caleb, Nissim di Iacob, Elias di Iacob, Iacob di Caim, Caim di Sciabbatai, Abraham di Caim, Isaac di Salomone, Isaac di Moysis Cairi medico e chirurgo, Moysis di Davide, fratello dello sposo e Navi di Matahia. L’atto fu steso dal notaio Ieshua di Caim.

Mi pare ci sia una incongruenza: che interesse poteva avere la vedova ad ottenere il libello di ripudio dal marito ormai morto? Cercherò di chiarire la questione.

3. CATANZARO
Lunga e rilevante, specialmente in rapporto all’industria della seta, fu la presenza ebraica a Catanzaro, alla quale spero prima o poi di dedicare un apposito post

La storia degli ebrei a C. si apre con la notizia di un gesto di gratitudine da parte di un cristiano nei confronti di uno di loro: nell’agosto 1265, infatti, un Lombardo Russos assegnò nel proprio testamento 8 once d’oro a favore del giudeo Sabato per avergli procurato familiarità presso il concittadino Galterio Francisco. Un salto di decenni ci porta a Barletta, dove Consolo di Abramo Russi ebreo de Catanzaro si era recato per procurarsi spezie medicinali. Il 10 agosto 1332 egli acquistò da Bartolomeo speziale di Barletta, una certa quantità di spezieria del valore di 3 once e 10 tarì, che si impegnò a pagare entro la successiva festa di S. Martino, o oltre tale tempo quando gli fosse stato richiesto dal creditore o dai suoi eredi.
Queste scarsissime notizie ci permettono di intravedere appena una presenza, che doveva invece essere abbastanza cospicua e incidente. L’8 maggio 1406 gli ebrei locali godettero insieme ai cristiani di un indulto concesso da Ladislao d’Angiò Durazzo a tutti gli abitanti di Catanzaro che Nicola Ruffo, marchese di Crotone e loro conte, aveva costretto a ribellarsi al re.
Nel 1417 il capitano di ventura Antonuccio de Camponneschi, recuperò con ferocia a favore di Giovanna II e di Nicola Ruffo, questa volta alleato della regina, la città di Catanzaro che era stata infeudata dalla stessa Giovanna a Pietro Paolo da Viterbo, che si era poi schierato contro di lei: i catanzaresi accettarono la realtà, ma presentarono all’assenso del Camponeschi una serie di capitoli e privilegi . Essi chiesero, tra l’altro, che tutti i cittadini e abitanti di C., sia cristiani sia giudei, vivessero franchi e sicuri sotto il dominio e la protezione della regina Giovanna II d’Angiò, che gli stessi fossero per dieci anni esentati da ogni colletta e sovvenzione verso la regina e, trascorsi i dieci anni, non fossero costretti a pagare che tre collette di once 17 e 1/2 al più, che fosse abolita la gabella del ferro e che tutti i fabbri cristiani e giudei, e altri cittadini, potessero a loro volontà comprare e lavorare il ferro e che i giudei fossero esentati dalla gabella della tintoria e dall’annua prestazione della tassa della morthafa e non fossero costretti dagli ufficiali della regina e dagli inquisitori ecclesiastici a portare il segno. Il Camponeschi, in data 21 agosto 1417, approvò le richieste, confermate da Giovanna II il 5 ottobre dello stesso anno.
Alle varie guerre tra i rami degli Angioini, si aggiunsero intanto quelle con gli aragonesi di Sicilia, il cui re Alfonso era stato adottato da Giovanna II come erede e successore, ma in seguito ripudiato. Nel 1420-21 Alfonso tentò di conquistare la regione, tentativo che rinnovò nel 1435: l’operazione riuscì solo nel 1438 per mezzo del camerlengo del Regno, il catalano-siculo Antonio Centelles. Conquistata Napoli nel 1442, Alfonso premiò i suoi fautori, e tra questi il medico ebreo Salamon Nehama di C., che nel 1445 nominò suo familiare con il diritto di godere di tutti gli onori, prerogative e privilegi di cui erano insigniti tutti gli altri suoi domestici e familiari.

Vicolo della Judeca di Catanzaro
Da Truthseeker, blog di Roberto Scarfone
La convivenza dei cristiani con i giudei era divenuta intanto a C. tanto profonda e rispettosa che le due comunità avevano deciso di condividere i rispettivi obblighi e privilegi, come se fossero una sola. Così,quando nel 1452 l'inquisitore fra Nicola de Calvanico giunse nella città e pretese da ciascun giudeo un contributo per finanziare la sua caccia agli eretici, l'università cristiana contribuì alla raccolta della somma e lo stesso accadde quando il sovrano impose alla giudecca il pagamento di 1 oncia ed in altre occasioni ancora. Sulla base di questi precedenti, quando i cristiani decise di trasferire in città, in un nuovo convento, le monache di S. Chiara e nella loro vecchia sede impiantare una comunità di francescani, fu chiesto anche ai giudei di contribuire alle spese per la realizzazione del progetto. I giudei rifiutarono, affermando che erano pronti a partecipare alle spese dei cristiani in tutto quello che concerneva la vita cittadina, ma non in materia di chiese e monasteri, non essendosi mai udito che essi avessero contribuito in tali misteri tangenti alla fide cristiana. Nessuno, aggiunsero, sia giudeo che cristiano, poteva essere forzato a compiere simili gesti. I cristiani si sentirono defraudati da tale rifiuto e ordinarono il sequestro, a titolo di anticipazione, di beni appartenenti ai giudei per un importo di oltre 14 ducati. Gli ebrei, tramite i proti della comunità, ricorsero al re e Alfonso d'Aragona ordinò un'inchiesta e incaricò il vicerè di Calabria, Francesco di Siscar, di eseguirla. Il vicerè diede dapprima ragione ai giudei, poi ai cristiani. Infine, nel 1453, demandò al capitano di C. di esaminare a fondo la questione e di risolverla secondo giustizia, tenendo comunque presente che mai i giudei erano stati tenuti a contribuire al culto cristiano.
Qualche mese dopo questa vertenza, Alfonso d'Aragona sottraeva gli ebrei alla giurisdizione del vescovo locale e disponeva che il capitano regio della città rendesse giustizia indistintamente a tutti i cittadini. Il vescovo continuò a molestare e inquietare i giudei, provocando diverse ordinanze da parte del sovrano: nel 1468, con Ferrante I, la Camera della Sommaria riaffermò che la comunità di C. apparteneva alla Regia Camera, come le altre comunità del Regno. In un intervento, assai energico, in data 9 marzo 1473, vennero poi date varie e particolari disposizioni, tra cui quella che aboliva l'obbligo imposto ai giudei di tenere i loro morti in casa durante la Settimana Santa in forza dei canoni che vietavano loro di uscire in quei giorni. I giudei furono riconoscenti agli Aragonesi per la loro benevolenza e, del resto, anche durante le guerre scatenate contro Alfonso I e Ferrante I dal ribelle conte di Catanzaro Antonio Centelles nel 1444-45 e nel 1458-1461, essi si erano mantenuti devoti al re. Nel 1466, in occasione del matrimonio di Alfonso, duca di Calabria, l’università di C. chiese che i giudei godessero di tutte le esenzioni concesse alla città in ricompensa della loro fedeltà e per non aver nulla risparmiato in pericoli, travagli e spese: gli ebrei locali, ovviamente, godevano anche delle esenzioni riconosciute a tutte le comunità della regione, come quella di non dovere contribuire a tasse straordinarie imposte per necessità locali. Così nel 1490 su ricorso della comunità, la Camera della Sommaria ordinò al tesoriere di Calabria, di non imporre ai giudei di quella città il contributo straordinario di 3 carlini a fuoco da destinare al restauro delle fortificazioni, essendo essi, insieme con le comunità di Crotone, Santa Severina, Strongoli, Cirò, Rossano, Rende e altre ancora, esenti da tale contributo per privilegio sovrano.
Particolare della Pianeta Borgia, paramento in seta
custodito presso il Museo diocesano di Squillace
(dal blog Utopie calabresi)
La prosperità raggiunta nella seconda metà del XV secolo dalla città, specialmente per lo sviluppo dell’arte della seta, era dovuta anche gli ebrei, che in quest’arte erano maestri. Ne è prova l’invito che le autorità di Messina rivolsero nel 1486 a mastro Chanoretto Geraldino, rinomato tessitore di panni di seta, perché si trasferisse da C. a Messina con la sua famiglia per introdurvi e sviluppare l’arte della seta. Per attrarlo, gli offrirono la cittadinanza, speciali privilegi e l’esenzione delle tasse, comprese quelle imposte dai proti all’interno della comunità ebraica. Charonetto accettò, la città di Messina mantenne le promesse sui privilegi e le esenzioni (lo esentò anche dal portare il contrassegno), gli diede una casa nel quartiere ebraico, una bottega e un laboratorio in un luogo di sua scelta nella città e lo nominò protomagistro e console a vita della corporazione dei setaioli e dei vellutieri.
Tra i mestieri praticati dagli ebrei di C., compaiono la tintoria, il commercio di panni, di pettini, di vino e il prestito su pegno, ma c’erano anche cultori di halakhah, come quel Hayyim da C., la cui opinione in materia di kasherut fu citata da un mercante ebreo di vino nel corso di una discussione che egli ebbe, poco dopo il 1492, a Nicastro con un maestro, pare di origine bizantina. La discussione verteva sulla purità rituale del vino prodotto dal mercante con uve di un cristiano e poi conservato in botti sigillate presso un altro cristiano.
Lo svolgersi abituale delle opere e dei giorni fu scosso nel 1495 dall’invasione del regno da parte di Carlo VIII di Francia. La fama che lo precedeva di re cristianissimo ostile ai giudei, provocò un po’ dappertutto assalti alle giudecche con saccheggi e violenze alle persone. Diverse comunità non trovarono via migliore per salvarsi che convertirsi al cattolicesimo. Questo accadde anche a C. e la sinagoga, non più frequentata dai seguaci di Mosè, fu abbandonata. Ne approfittarono i cristiani per trasformarla in chiesa parrocchiale e Alessandro VI, con bolla datata 28 aprile 1495 e registrata il 29 dicembre 1497, approvò il passaggio. La nuova chiesa, o piuttosto il suo reddito, che non eccedeva i 24 fiorini l’anno, fu unita alla mensa vescovile vita natural durante del vescovo locale, Stefano de Gotifredis.
I neoconvertiti, però, non guadagnarono molto in serenità facendosi cristiani. Con la loro fede appresa in fretta si muovevano assai male tra le dottrine e i riti cristiani, provocando diffidenza, sospetto, comportamenti vessatori da parte di ufficiali e inquisitori. Essi ricorsero allora al re Federico II d’Aragona, il quale il 19 ottobre 1496 scrisse al Cardinale d’Aragona, suo luogotenente generale, perché eleggesse alcuni buoni cristiani e li desse per lo spazio di due anni come amministratori ai cristiani novelli, affinché insegnassero loro i modi e la disciplina. Trascorso tale termine, se i neofiti avessero fatto qualcosa contro la fede, sarebbero stati puniti e castigati e, quanto alle vessazioni inferte dagli ufficiali, i cristiani novelli ebbero facoltà di vendere qualsiasi loro bene mobile o stabile e di porre il domicilio in qualsiasi località del Regno, senza essere ostacolati da alcuno.
Il 1503 Ferdinando il Cattolico, sovrano di Spagna insieme ad Isabella di Castiglia, divenne re di Napoli. In linea con la politica di epurazione messa in atto nella penisola Iberica, il 22 novembre 1510 decretò l’espulsione dei giudei e dei cristiani novelli dall’Italia meridionale. L’uscita dal Viceregno doveva avvenire entro il mese di marzo 1511. Anche gli ebrei e molti neofiti di C. presero la via dell’esilio, e di tutti l’università chiese la cancellazione dai ruoli fiscali. In data 22 agosto 1511 la Camera della Sommaria ordinò al tesoriere di Calabria Ultra di inviare diligenti informazioni sul numero ed i nomi di tutti quelli che avevano lasciato la città in forza delle prammatiche di espulsione. Non tutti i neofiti però partirono, perché parecchi riuscirono a dimostrare di essere veri cristiani e non cripto-giudei. Ma un frate domenicano che visitò la Calabria tra il 1654 e il 1659, rilevò che in Catanzaro rimangono le reliquie di questa empietà, essendosi fatto in molte case ereditario l’errore e precisò che i giudaizzanti di C. avevano sempre tenuto commercio e traffico con i giudei di Salonicco, facendo vela con i pegni per la suddetta città dai porti di Taranto e di Brindisi, quando si ritrovavano carichi di debiti e falliti. Nel 1604 ben 32 persone si erano imbarcate per la Sicilia e di qui erano andate a Salonicco, ordinario asilo della perfidia giudaica, seguite sei anni dopo da altri con le mogli e i figli.
Il quartiere in cui abitavano gli ebrei a C., la “giudecca”, era costituito dai vicoli che scendono dall’attuale Corso Mazzini, già via Capuana, tra il Palazzo Fazzari, la Discesa Jannone e la Discesa Piazza Nuova. Al suo interno sorgeva la sinagoga, che nel 1495 fu convertita in chiesa parrocchiale dedicata a Santo Stefano. Nel 1876, nel demolire una vetusta casa vicino l’attuale Palazzo Fazzari, fu trovato un frammento di marmo con resti di scrittura ebraica: è assai probabile che esso provenisse dal tempio sinagogale.
4. BORGIA
Nel territorio di Borgia sorgeva l’antica città prima greca di Skylletion, poi la romana Minervium e Colonia Minervia, che infine assunse il nome di Scolacium, di cui oggi si scorgono gli imponenti resti del teatro e di altri monumenti, fino all’epoca normanna, con la grande basilica. I numerosi resti archeologici che vi sono stati rinvenuti si trovano nel museo collocato in questo parco archeologico che ha il nome di Roccelletta del Vescovo di Squillace.
Delle anforette vinarie con inciso il simbolo della menorah (probabilmente a certificazione della kasherut del suo contenuto) ho già parlato in un precedente post.
Durante o subito dopo l’epoca normanna, probabilmente per l’impaludamento dell’area e poi definitivamente per il timore delle scorrerie saracene, l’area fu abbandonata e la residua popolazione si rifugiò nell’odierno centro di Squillace.


5. SQUILLACE
L’odierna Squillace nasce nel Medioevo, e fu anch’essa sede di un insediamento ebraico, che dovette essere abbastanza notevole. Resta ancora oggi il toponimo Porta Giudea

La prima notizia sugli ebrei a S. risale agli ultimi decenni del periodo angioino: il 13 gennaio 1413 Mosé Chetibi di Palermo dichiarò di avere ricevuto 10 once dalla comunità di S. per il riscatto dell’ebreo squillacese Mosè Abenzira, che era stato catturato da Giovanni Buttuni al largo della costa di Palermo.
Nel 1456 –in epoca aragonese - l’esattore registrò il pagamento di 8 ducati, 1 tarì e 10 grani da parte dei giudei di S. per il sale di settembre di quell’anno. Nel 1486 l'università ottenne dal principe Federico d'Aragona che i propri membri ebrei non portassero il segno distintivo (to Tau) e che potessero fruire di tutti i privilegi concessi alla città. In seguito sorsero, però, alcuni attriti per motivi fiscali: nel 1489, infatti, essa impose una gabella per procurarsi il denaro con cui pagare le tasse e pretese che anche gli ebrei vi si assoggettassero, ma questi si opposero e ottennero di raccogliere il denaro della loro quota secondo modalità di loro scelta.
I giudei vinsero anche il ricorso, nel 1490, contro l’imposizione di un contributo straordinario per la riparazione delle fortificazioni e nel 1492 l’università chiese a sua volta che la giurisdizione ordinaria sugli ebrei fosse restituita ad un ufficiale locale. Ferrante I, a cui la richiesta era stata rivolta, rispose che avrebbe incaricato il magnifico Giulio de Scorciatis, giudice ordinario di tutti gli ebrei del Regno, di risolvere la questione.
Non mancavano, poi, problemi tra gli stessi ebrei: nel 1488 il giudeo Iacob de Iuncto, che era debitore insolvente nei confronti del prestatore Leone di S., si vide rifiutare la cessione dei beni in cambio del debito e fu obbligato dal Regio Consiglio a trasferirsi a S. e stare al servizio del creditore, scomputando dal salario il debito e le spese, mentre il creditore avrebbe fornito a Iacob gli alimenti. Allo stesso Leone la Camera della Sommaria fece inoltre restituire nel 1492 da Marino Minerva, commissario sulle cause usurarie, due tazze d’argento.
Sotto il dominio spagnolo, che soppiantò nel 1503 quello aragonese, la comunità di S. si ridusse a pochi elementi. Nel 1508 essa doveva partecipare con 1 ducato, 2 tarì e 10 grani al donativo di 450 ducati imposto dal Viceré agli ebrei di Calabria ed il versamento fu effettuato il 2 agosto per mano di Benedicto Dulcecto.
Nel 1510 gli ebrei e i neofiti del Viceregno dovettero espatriare su ordine di Ferdinando il Cattolico, ma il neofita Ioan Baptista Cimino di S. si rifiutò, però, di andare via, affermando di essersi convertito da vent’anni e di avere preso per moglie una donna discendente da cristiani antichi. Il Consiglio Collaterale ordinò di riconoscere al Cimino il diritto di restare se fosse stato provato che il matrimonio era stato contratto dieci anni prima dell’editto d’espulsione.
Lo storico domenicano Giuseppe Lottelli (S. 1632 ca.-1702) registra ancora ai suoi tempi il toponimo la Giudeca, portato da un vicolo della parte estrema della città. In essa, egli scrive, abitavano i giudei, dediti a vari mestieri, in particolare all’arte della seta. La loro espulsione impoverì la città.

Da nord a sud, abbiamo concluso con Squillace la panoramica sulle località dove certamente abitarono gli ebrei nel versante jonico del Catanzarese. Stranamente, la zona da Squillace fino a Stilo - Monasterace è una delle pochissime aree calabresi in cui non troviamo nessuna documentazione di presenze ebraiche, ma solo indizi, che vedremo in un prossimo post.

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