Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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giovedì 6 dicembre 2012

Vayeshev 5773

              
שבת שלום!
SHABBAT SHALOM!
Shabbat 24 Kislev 5773
(8 dicembre 2012)


Immagine da Aschkel









Parashat Vayeshev: Bereshit (Genesi) 37,1 -40,23
Haftarah: Amos 2,6-3,8


Da Torah.it


Il commento alla parashah settimanale di Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma


Altri commenti sulla parashah settimanale sul sito ChabadRoma, da cui traiamo queste sintesi della parashah e della haftarah



Vayeshev in Breve

Marc Chagall: Ya'akov parte per l'Egitto

Immagine da ArtBible

Ya'acòv si stabilisce in Israele. Egli prova un sentimento speciale nei confronti del figlio Yossef causando una forte gelosia da parte degli altri figli. Ya’acòv regala una tunica rigata a Yossef. Yossef fa due sogni che racconta ai fratelli provocando ancora più invidia: nel primo vede se stesso assieme ai fratelli fare dei covoni in un campo e le spighe dei fratelli si inchinano davanti alla spiga di Yossef. Nel secondo vede il sole, la luna e undici stelle gli si inchinavano. Ya’acòv manda Yossef dai fratelli che stavano pascolando il gregge, quando i fratelli vedono Yossef che si avvicinava minacciano di ucciderlo, Reuven, il primogenito cerca di salvarlo. I fratelli tolgono la tunica da Yossef e lo gettano in un pozzo. Yehudà e i fratelli vendono Yossef agli Yishmaeliti, prendono la tunica e la riempiono di sangue di una capra, e fanno credere a loro padre che Yossef è stato sbranato. Yossef viene venduto in Egitto a Potifar, ministro del Faraone. Yehuda ha tre figli. Fa sposare quello grande, Er, con Tamar, Er muore. Tamar si sposa allora con il fratello Onan e muore anche lui, Yehuda promette a Tamar di farla sposare con l’ultimo figlio Shelà ma non mantiene la promessa. La moglie di Yehuda muore. Tamar copre il proprio viso e Yehuda ha una relazione con lei convinto che fosse un’altra donna, e le lascia come pegno un anello un vestito ed un bastone. Yehuda, vedendo che Tamar è rimasta incinta crede che Tamar abbia avuto una relazione proibita e la condanna a morte. Prima dell’- esecuzione Tamar manda a Yehuda gli oggetti che le lasciò in pegno facendogli capire che era rimasta incinta da lui e la risparmia. Tamar partorisce due gemelli, Peretz e Zarach. La moglie di Potifar si innamora di Yossef e cerca di persuaderlo, egli rifiuta, ed essa per vendicarsi lo accusa di aver voluto violentarla. Yossef viene messo in prigione dove viene nominato responsabile di tutti i prigionieri. Tra i prigionieri Yossef incontra l’addetto ai pani e l’addetto ai vini del Faraone che fanno un sogno. Yossef risolve i sogni annunciando all’addetto
al vino la libertà dalla prigionia ed all’addetto ai pani la morte. Le interpretazioni di Yossef si avverano. Yossef chiede all’addetto dei vini di ricordarlo davanti al Faraone ma questi si dimentica di Yossef.




Sono con lui nell'avversità

"Ed ecco una carovana di ismaeliti viene da Gil'ad
e i loro cammelli trasportano spezie, balsamo e loto.
"
[Parashà di Vayeshev - Bereshit 37, 25]

Commento di Rashi: "Perché il testo rivela il contenuto del loro carico? Per far conoscere la ricompensa dei giusti, poiché in genere gli arabi trasportano solo nafta e catrame, il cui odore è sgradevole; invece per lui il Cielo ha fatto in modo che non venisse importunato dal cattivo odore."

Marc Chagall: Yoseph venduto dai fratelli
Da Fingerhurt Gallery



Vediamo di ricostruire la situazione: Yossef, il figlio preferito di Yaakov, venne inviato da suo padre a visitare i suoi fratelli che pascolavano il gregge per verificare che tutto andasse bene. Malgrado l'astio che essi provavano per lui, Yossef obbedì a suo padre e seguì la traccia dei fratelli finché li trovò nei presi di Dotan. Quelli, lungi dall'apprezzare la visita, complottarono per sopprimerlo e fu grazie all'intervento di Reuven, il primogenito, che Yossef ebbe la vita salva. Imprigionato in una cisterna vuota (ma il Midrash racconta che vi si trovavano comunque serpenti e scorpioni), ne fu tratto solo per essere venduto come schiavo a una carovana che passava di lì, in direzione dell'Egitto.

Dunque, un ragazzo di diciassette anni, orfano di sua madre Rachel e odiato dai propri fratelli maggiori, vede sparire ogni traccia della sua vita precedente, senza apparentemente alcuna speranza di ritrovarla. Privo di qualsiasi possibilità di contatto con il padre Yaakov, con il nonno Yitzchak e con il fratellino Binyamin, Yossef è ora schiavo, proprietà di questi commercianti diretti in Egitto, la superpotenza dell'epoca. Non è difficile immaginare come nel mondo di 35 secoli fa fosse impensabile sperare di sottrarsi all'amarissimo destino di una vita da schiavo. Come fu il caso per milioni di altri individui nella storia dell'umanità, la caduta in schiavitù significava una tragedia immane dalla quale non c'era ritorno: è noto che in diverse regioni del mondo e malgrado le comunicazioni moderne, questa realtà esiste ancora.

Perciò, tra le domande che il versetto che abbiamo citato può suscitare, Rashi sceglie proprio di insegnarci che il Cielo ricompensò Yossef di essere un giusto mandandogli una carovana di commercianti di spezie profumate anziché di nafta maleodorante. Eppure un ragazzo rapito e ridotto in schiavitù vive una disgrazia indescrivibile. Non è difficile immaginare quale terribile angoscia aggredisca il ragazzo prigioniero, precipitandolo nella più profonda disperazione. Che ricompensa è quella di prendersi cura del suo olfatto e assicurarsi che le merci trasportate insieme al povero schiavo ebreo olezzino di spezie aromatiche? Chi è veramente disperato non pensa ai profumi: i suoi unici pensieri sono il dolore per la separazione dai propri cari, il terrore per il futuro che lo aspetta e probabilmente tanta rabbia per essere costretto a subire suo malgrado un così terribile destino. Si chiede quindi uno dei grandi Maestri della Yeshivà di Telz, Rav Mordechai Pogremonsky, come capire il significato e l'insegnamento di questo commento di Rashi: che ricompensa sono queste spezie, che consolazione possono offrire a Yossef di fronte al buio pesto di un futuro nero?

Rav Pogremonsky offre una straordinaria risposta al quesito che egli stesso ha posto: il Santo, benedetto Egli sia, non getta mai un giusto in una situazione di oscurità totale, senza nessun aspetto positivo. Anzi, Egli lascia sempre, anche nelle peggiori avversità, un lumicino che serve a far capire all'uomo di non essere solo. È vero quindi che l'odore delle spezie non rappresentava in sé un grandissimo vantaggio; tuttavia esso offriva a Yossef un segnale sicuro che Hashem era con lui. Per questo motivo Rashi precisa che il trasporto di spezie non rientrava nelle abitudini di quei commercianti arabi. L'eccezionalità del trasporto poteva spiegarsi solo come un messaggio destinato al giusto per dirgli che il Santo, benedetto Egli sia, è con lui, come dicono i salmi (Tehillim 91, 15): "Sono con lui nell'avversità". Yossef capisce quindi che ciò che gli capita non è un durissimo scherzo di un destino infido e gramo, bensì un programma preciso della Provvidenza Divina, anche se non se ne conosce ancora il lieto fine.

La storia di Yossef infatti non finisce qui: anche durante il periodo di servitù in casa del ministro Potifar, Yossef meritò di percepire la presenza del Santo, benedetto Egli sia, accanto a lui (Bereshit 39, 2): "E Hashem fu con lui" e (Bereshit 39, 3) "che Hashem era con lui"; e di conseguenza (ibid.) "Hashem era con lui e lo faceva riuscire in tutti i sui intenti". Più avanti, imprigionato nelle carceri di Faraone (Bereshit 39, 21): "Hashem fu con Yossef e attirò su di lui la benevolenza" e (Bereshit 39, 23) 'Perché Hashem era con lui e lo faceva riuscire nei sui intenti". Nella sua disgrazia, Yossef percepiva sempre un dettaglio positivo e perciò sapeva di non essere abbandonato e di essere sempre con Hashem. E stando così le cose, era più facile sopportare lo stato di servitù e capire che al contrario delle apparenze la sua situazione non era disperata. Così dicono i salmi (Tehillim 34, 9): "Felice è l'uomo che si rifugia in Lui". Infatti, come tutti sappiamo, dopo anni di servitù e di prigione in Egitto Yossef fu elevato da Faraone alla più alta carica del regno, ciò che gli permise di salvare la sua famiglia, con cui si ricongiunse dopo ventidue anni, perdonando i fratelli e riabbracciando Yaakov e Binyamin.

Il re David dice (Tehillim 23, 4): "Anche se dovessi camminare nella valle dell'ombra della morte, non temerò alcun male, perché Tu sei con me! Il Tuo bastone e il Tuo appoggio mi consolano." Da una parte il Santo, benedetto Egli sia, punisce col Suo bastone e dall'altra offre il Suo appoggio: in questo modo l'uomo sa che anche le avversità provengono da Lui. Infatti, le punizioni inflitte ai malvagi per i loro peccati sono complete e definitive; invece, le avversità che affliggono i giusti hanno come unico scopo il loro bene e perciò non conducono alla loro perdita. Anzi, il fatto che esse siano sempre accompagnate da un qualsiasi aspetto positivo conforta il giusto provandogli di non essere solo e che Hashem è accanto a lui per guidarlo verso la salvezza.

La Torà non ha la vocazione di raccontarci delle belle storie fini a sé stesse; piuttosto insegna a ognuno di noi come vivere durante tutti i nostri giorni terreni. Perfino nel commento di un versetto apparentemente anodino, Rashi coglie nel segno e ci trasmette un insegnamento straordinario: finanche un dettaglio dall'apparenza insignificante, come il contenuto del carico di un'anonima carovana partita millenni fa verso una terra lontana, ci insegna come affrontare ognuna delle mille avversità della vita e come riuscire a percepire la presenza di Hashem accanto a noi. Anche in questo lunghissimo esilio e nei suoi tanti dolori dobbiamo vedere la mano di Hashem che ci conduce fino alla piena e totale Gheulà, presto e nei nostri giorni.

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Tratto dal sito www.anzarouth.com: Commento alla Parashà di Vayeshev
È richiesto di aggiungere anche un link valido verso:
http://www.anzarouth.com/2011/12/parasha-vayeshev-telz.html


 

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