Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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mercoledì 26 dicembre 2012

Belvedere: considerazioni “marrane”



Roque Pugliese (foto di Pietro Calabrese)
Da giovedì 20 a domenica 23 dicembre si è svolto in Calabria, a Belvedere Marittimo (CS), uno Shabaton con illustri presenze come il Rabbino Capo di Torino e dirigente di Shavei Israel, Rav Eliyahu Birnbaum, il Rabbino Capo di Napoli e del Meridione, Rav Scialom Bahbout , il responsabile del Progetto Meridione dell’Ucei, Gadi Piperno, e ancora per Shavei Israel Rav Pierpaolo Pin’chas Punturello, già responsabile della Comunità di Napoli.

All’inizio dell’incontro erano presenti il Presidente della Comunità di Napoli, Pierluigi Campagnano, e Rav Moshé Lazar, che il giorno precedente, insieme al Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, aveva ricevuto la cittadinanza onoraria di Santa Maria del Cedro.

Oltre ai relatori e ad ospiti di altre Comunità, che hanno dato un significativo contributo, erano naturalmente presenti gli ebrei della Calabria e di parte della Sicilia orientale, nonché rappresentanti degli ebrei pugliesi, in particolare di Sannicandro e Trani.

Lo stimolante ed intenso dialogo instauratosi ha fatto riaffiorare tracce di un popolo ebraico forse dimenticato per troppo tempo. A testimonianza delle ferite ancora aperte in queste regioni nel loro passato ebraico, pubblichiamo la lettera indirizzata, dopo la chiusura dei lavori, dal Referente per la Calabria della Comunità di Napoli, Dott. Roque Pugliese, ai Rabbanim presenti all’incontro.
Rav Scialom Bahbout e Gadi Piperno(foto di Filomena Tosi)
Stimatissimi Rabbanim ,
Grazie per averci dato la possibilità di ricevere i vostri insegnamenti e di condividere assieme lo Shabbat di Belvedere Marittima del 20 dicembre 2012.
Per tutti noi questa occasione è stata preziosa per capire la vera essenza dell'ebraismo e di riconoscerla in quel desiderio che la nostra anima ha sempre con insistenza pressato il cuore di ognuno di noi.
Questo anelito dell'anima ha fatto sì che tanti abbiano trovato “normale “ avvicinarsi alle Mitzvot e all'amore per la Torah. Grazie anche per la vostra sensibilità e sapienza a mettere a proprio agio tutti nonostante le nostre limitatezze culturali. Avete ragione quando avete affermato che la spiritualità non basta per essere ebrei ma serve, oltre alla grande conoscenza della Halachà, anche altro, che non dipende dalla volontà individuale ma da regole ebraiche molto esplicite. Comunque il commento dei partecipanti è stato di grande entusiasmo e di serenità per l'esperienza fatta.
Il Meridione d’Italia ha una latenza alla emersione culturale ebraica molto forte da sempre. Gli effetti dell’inquisizione spagnola e la cacciata degli ebrei presentano, a mio parere, due realtà parallele.
Una realtà, nel cui merito non posso entrare, è quella degli storici che hanno delineato in base alle fonti esistenti gli aspetti pratici dell’inquisizione cattolica e della espulsione degli ebrei dai territori: alcuni ebrei sono andati via, altri si sono dovuti convertiti in maniera forzata, e altri lo hanno fatto spontaneamente. Fine della storia.
Un’altra realtà non storicamente provata è quella “antropologica e culturale”: gli ebrei rimasti hanno continuato di nascosto la trasmissione delle proprie radici giudaiche con semplici gesti e tacite affermazioni.
Gli effetti pratici della violenza dell’inquisizione sono tuttora presenti in questa realtà “antropologica”. ove pregiudizi antisemiti ed antiche accuse di deicidio sono presenti nella cultura popolare ed in alcune tradizioni religiose cattoliche, soprattutto in Sicilia.
Io stesso ne sono stato vittima da parte di gente comune mentre si faceva lezione di ebraico elementare in Sicilia: accusato come rappresentante “deicida”.
A queste due realtà, quella storica ufficiale e quella che ho chiamato antropologica culturale, se ne affianca una tramandata all'interno dell'ebraismo, secondo cui i “veri ebrei” hanno preferito andarsene e a volte morire pur di non accettare la conversione, mentre gli "ebrei tiepidi" hanno accettato di convertirsi, alcuni con la forza altri volontariamente.
In Calabria e Sicilia, negli ambienti a “latenza ebraica”, vi è una prospettiva diversa su questa dolorosa diatriba interna che sa tanto di classica “guerra tra poveri” ovvero tra fazioni oggetto di una stessa sventura.
Questa prospettiva diversa ipotizza che a poter andare via dalla Spagna e dal Meridione di Italia vi fu una grande maggioranza di ebrei ricchi o con una buona capacità economica, mentre tanti altri ebrei questa possibilità non l’hanno avuta.
Per capire questo dobbiamo calarci nella situazione del 1500: un editto di espulsione ha imposto a migliaia di persone di abbandonare i luoghi ove son nati e vissuti, e anche il lavoro fonte del proprio sostentamento.
All’epoca non vi erano mezzi pubblici veloci (autobus, automobili, camion, aerei): andare via da una nazione verso un’altra ed attraversare luoghi ostili, era possibile con carri trainati da bestiame, cavalli (per chi li aveva), o a piedi. Chiaramente trascinandosi dietro il necessario per coprirsi, molta acqua, cibo a sufficienza, bambini e neonati non in grado di camminare. Tutto molto pesante da trasportare.
Quanti furono gli ebrei che si potevano permettere una tale organizzazione? Considerando che nel 1500 la forza lavoro erano le braccia, ogni famiglia aveva una media di cinque-dieci figli. Un padre con dieci figli, senza carri o possibilità di trasportare cibo non deteriorabile ed acqua per un viaggio di almeno un mese a piedi, che probabilità aveva di far sopravvivere un terzo dei propri figli? Poche o nessuna, considerando un’epoca senza antibiotici e dove la denutrizione era uno stato endemico di tutta la popolazione e che una piccola malattia o carestia aveva effetti devastanti soprattutto in età pediatrica.
A quel padre di famiglia, per non far morire i figli non rimaneva che accettare pubblicamente una conversione. Sicuramente quel padre, umanamente, avrà pensato che la sua anima ebraica, la sua neshamah, non gliela toglieva nessuno, nemmeno un battesimo. Ad una morte certa dei propri figli, per un viaggio in condizioni precarie, ha applicato la regola del valore della vita e la sopravvivenza della discendenza, della vita.
Quindi chi è andato via aveva i mezzi per poterlo fare, era gente benestante che avrà potuto aiutare un numero limitato di persone. Agli altri non rimaneva che mantenere le posizioni sul territorio e prepararsi ad una ottica di RESISTENZA culturale ad una guerriglia "spirituale” e sotterranea.
Creare un FRONTE DI RESISTENZA era molto più difficile che andar via, non vi pare? Una grande sfida sulla lunga distanza, lunga secoli ma costante. Il pensiero dominante era: ”la mia Fede vivrà" così come è sopravvissuta in altre situazioni.
Questo è quello che si racconta.
Quindi: nel Meridione di Italia è stato commesso un torto ad una popolazione ebraica da parte dei regnanti di quei tempi. Una parte di quella popolazione è rimasta in queste terre per le ragioni di cui sopra ed è riuscita a tramandare il senso di appartenenza ebraica ai propri discendenti .
La memoria storica della presenza ebraica nel Meridione è stata in gran parte cancellata e tuttora permangono retaggi culturali di pregiudizi.
Questa popolazione ha sopportato nel silenzio un giogo spirituale con il sogno un giorno di rivalsa da parte della propria progenie nella terra del Meridione di Italia.
Un riavvicinamento tra le comunità del Nord e queste popolazioni sarebbe un atto che dimostrerebbe la capacità del popolo ebraico di ricucire le ferite del proprio passato e dare giustizia ad un torto fatto ai propri fratelli.
Concludo con un passo a noi molto caro del Profeta Geremia, che parla di discendenza della casa di Israele.

 Con gratitudine, Roque

Geremia 23. 7- 8
“Perciò, ecco, i giorni vengono”, dice il SIGNORE, “ in cui non si dirà più:
“Per la vita del SIGNORE che condusse i figli di Israele fuori dal paese d’Egitto”,
ma “Per la vita del SIGNORE che ha portato fuori e ha ricondotto la discendenza della casa di Israele dal paese del settentrione e da tutti i paesi nei quali io li avevo cacciati”, ed essi abiteranno nel loro paese”.

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